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Immagine del redattoreFrancesca Corrado

Coltivate l’arte dell’attesa.




Nel tempo ho fatto mia l’affermazione del drammaturgo e scrittore irlandese Samuel Beckett:


«Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio».

Questa frase è contenuta in una novella di non facile lettura, Worstward Ho (1983), titolo intraducibile che in un’edizione italiana è stato reso con Peggio tutta.

Amo particolarmente Beckett e una delle sue opere che scrisse tra il 1948 e l’inizio del 1949, forse la più surreale: Aspettando Godot. Beckett propose il testo a diversi impresari ottenendo in cambio solo rifiuti. Solamente nel 1953 il regista Roger Blin, affascinato dalla storia, mise in scena la pièce nonostante gli risultasse incomprensibile. Lo aveva deciso tre anni prima, ma una serie impressionante di ostacoli e difficoltà si era frapposta. Il modo in cui l’opera è stata messa in scena, accolta e criticata ci offre una prima lezione: mai mollare anche se tutto sembra remare contro.

Ma l'opera è particolarmente interessante anche per i concetti attorno cui ruota la storia, cioè l’attesa vana e il tempo.


“Non succede niente, nessuno viene, nessuno va, è terribile.”
Estragone

Aspettando Godot rappresenta la condizione esistenziale di ogni uomo che è nell’attesa di qualcosa o di qualcuno (Godot) che non arriva mai: una giusta risposta che riveli il senso dell’esistenza. E la nostra vita, in effetti, si compone di piccole e grandi attese: della persona giusta, del momento giusto, del giusto guadagno e della meritata ricompensa, della telefonata fatale che ci cambierà il futuro. Siamo sempre ad aspettare che accada quel qualcosa che abbiamo sempre desiderato. Ma c’è chi, intanto che attende, rimane fermo in balia della casualità degli eventi e c’è chi gioca con il fato. È una condizione che certamente può logorarci, ma non ferirci, perché è carica di speranze e di sogni.

Se il sogno si è invece infranto, o abbiamo la percezione che ciò che desideravamo non arriverà a causa dei nostri errori, allora l’attesa assumerà una valenza negativa. E in quella sospensione c’è chi vivrà consumandosi nel dolore e chi smetterà di vivere pienamente. Come il tenente Drogo, il protagonista del Deserto dei tartari di Dino Buzzati (1940), che consuma la sua esistenza affacciato agli spalti di un avamposto sperduto, nell’attesa di un nemico contro cui non combatterà mai.


Era l'ora delle speranze e lui meditava le eroiche storie che probabilmente non si sarebbero verificate mai, ma che pure servivano a incoraggiare la vita. [...] Una battaglia, e dopo forse sarebbe stato contento per tutta la vita.

La nostra mente anticipa la sofferenza che sentiremo quando il fallimento del nostro progetto diventerà infine realtà. Di fronte a una caduta costruiamo immediatamente tutti i tasselli di un tracollo che forse non arriverà, ma a cui ci avviciniamo, attimo dopo attimo con l’immaginazione. E più immaginiamo, più il quadro assume colori sempre meno tenui, più aumenta la nostra paura.

Ma a suo tempo qualcosa ci rivelerà che forse quella cantonata non era poi tale e quella disfatta era solo una delle tante possibilità.


Nikolaus B. Enkelmann, filosofo ed esperto di retorica, ha affermato: «L’oggi è il domani del quale ieri ci preoccupavamo tanto».

Daniel Gilbert, nel suo libro The surprising science of happiness, conferma questa affermazione. Da alcuni esperimenti condotti dallo stesso Gilbert emerge chiaramente come la mente umana sia in grado di adattarsi, più o meno velocemente, a un contesto negativo. Eventi ritenuti appaganti, se dovessero accadere, sortiscono poca felicità nel momento in cui effettivamente si verificano. All'opposto, eventi associati alla disperazione e all'infelicità hanno un impatto inferiore rispetto a quanto immaginato prima che si verificassero.


Una mente antifragile sa che l’attesa nutre sia la nostra disperazione sia la nostra speranza, e nell’uno e nell’altro caso impartisce lezioni e giusti consigli. Non è vero che nell’attesa non accade nulla. Semplicemente non siamo in grado di vederlo. Diamoci il tempo di aspettare ancora per capire se è grazie a quel licenziamento che siamo riusciti ad avviare un' attività imprenditoriale soddisfacente; se grazie a quella relazione sentimentale finita abbiamo incontrato il compagno della nostra vita; se grazie alla promozione data al collega e non a noi siamo stati finalmente liberi di realizzare i nostri desideri.

Gli episodi insignificanti e dolorosi di ieri possono rivelarsi cruciali, domani, per la nostra felicità.

Date tempo a un progetto di prendere forma senza interromperne la crescita prima del do- vuto perché non avete maturato la pazienza di aspettare; lasciate che una intuizione si evolva, senza forzarne l’andamento; lasciate che quel lavoro di squadra che ha generato un insuccesso trovi un suo spazio domani.

Non pensate che il tempo debba essere vissuto in modo esaltato per poterne apprezzare la bellezza.

Coltivate l'arte dell'attesa.



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